26.12.10

Da combattere per vincere a vincere senza combattere


Si può imparare qualcosa


da un temporale.  


Quando un acquazzone ci sorprende, 


cerchiamo di non bagnarci


affrettando il passo, 


ma anche tentando di ripararci sotto i cornicioni


ci inzuppiamo ugualmente. 


Se invece, sin dal principio, 


accettiamo di bagnarci


eviteremo ogni incertezza


e non per questo ci bagneremo di più. 


Tale consapevolezza


si applica a tutte le cose. 

Yamamoto Tsunetomo - Hagakure (1, 79)

24.12.10

Righine colorate di spessori diversi 3


La fronte di Jeff Koons luccicava leggermente; Jed la sfumò con il pennello e indietreggiò di tre passi. C'era decisamente un problema con Koons. Hirst, in fondo, era facile da cogliere: lo si poteva fare brutale, cinico, del genere "vi disprezzo dall'alto della mia ricchezza"; lo si poteva anche fare artista ribelle (ma pur sempre ricco) che prosegue un lavoro angosciato sulla morte; c'era infine nel suo volto qualcosa di sanguigno e di pesante, tipicamente inglese, che lo avvicinava a un tifoso dell'Arsenal. Insomma, c'erano differenti aspetti, ma si potevano combinare nel ritratto coerente, rappresentabile, di un artista britannico tipico della sua generazione. Koons invece sembrava portare in sé qualcosa di doppio, come una contraddizione insormontabile fra la scaltrezza ordinaria dell'agente di commercio e l'esaltazione dell'asceta. Erano già tre settimane che Jed ritoccava l'espressione di Koons che si alzava dalla sedia, le braccia protese in uno slancio di entusiasmo come se tentasse di convincere Hirst; era difficile quanto dipingere un pornografo mormone.

Michel Houellebecq - La carte et le territorie

22.12.10

Il karaoke socialmente utile




Tutti i punti di riferimento che davano solidità al mondo e favorivano la logica nella selezione delle strategie di vita (i posti di lavoro, le capacità, i legami personali, i modelli di convenienza e decoro, i concetti di salute e malattia, i valori che si pensava andassero coltivati e modi collaudati per farlo), tutti questi e molti altri punti di riferimento un tempo stabiliti sembrano in piena trasformazione. Si ha la sensazione che vengano giocati molti giochi contemporaneamente, e che durante il gioco cambino le regole di ciascuno. Questa nostra epoca eccelle nello smantellare le strutture e nel liquefare i modelli, ogni tipo di struttura e ogni tipo di modello, con casualità e senza preavviso. 
[...] Il successo nella vita di uomini e donne postmoderni dipende dalla velocità con cui riescono a sbarazzarsi di vecchie abitudini piuttosto che da quella con cui ne acquisiscono di nuove. La cosa migliore è non preoccuparsi di costruire modelli. 

L'istruzione nell'età postmoderna Zygmunt Bauman

© Virgilio, gruppo Telecom Italia

19.12.10

Formazione


Era il periodo di raccolta dell'uva e quel giorno decisero tutti di trascorrerlo nella casa di Bardo a pochi km dal paese. La cascina era nascosta da una collina e sormontata da una roccia porosa che nascondeva al suo interno delle piccole caverne a labirinto. Tutto intorno i campi sterminati di viti e ulivi erano percorsi da ruscelli e piccole stradine battute dai cacciatori con i loro cani e da anziane donne con grandi ceste di ortaggi. La cascina era maestosa, un quadrilatero di vecchi mattoni rossi e all'interno si divideva in immensi saloni nei quali erano ricavati il soggiorno col camino e un vecchio tavolo di ciliegio, la cucina con le sue pentole e suppellettili appese alle pareti e le prime stanze del pian terreno. Una scalinata di marmo conduceva al piano superiore e il percorso era scandito da quadri di ogni corrente.
La serata trascorse allegramente davanti alle fiamme del camino, non mancarono vino e cacciagione fresca. Si rise, si cantò e suonò, si raccontarono storie vecchie e nuove fino a notte fonda.

Il sole e l'aria fresca del mattino, come un guanto morbido, svegliarono tutti gli ospiti della cascina quasi simultaneamente e dopo una buona colazione il gruppo si divise in due, chi restò in casa per provvedere al pranzo e chi si inoltrò nel fitto bosco per raccogliere i funghi, le castagne e i frutti dell'autunno. Ci volle una buona mezz'ora per raggiungere le porte del bosco, la strada sterrata che avevano percorso di lena si interrompeva non più baciata dai raggi del sole  come un presagio oscuro alla densa vegetazione che li attendeva. Bardo era un reduce di guerra, un anziano che conosceva quelle terre come le sue tasche, pieno di racconti e di sorrisi, nonché una guida eccellente, era scaltro e agile, nonostante la barba e le rughe sul volto dimostrassero il contrario e la sua andatura dava parecchio filo da torcere a molti. La concentrazione di arbusti e foglie lasciava filtrare i sottili raggi del sole che, come lame infuocate descrivevano un tragitto privo di geometria e illuminavano a intermittenza il terreno umido del sottobosco. Vi si potevano trovare funghi di forme e dimensioni variabili, nonché di colori sgargianti e animali selvatici in fuga dal rumore che il gruppo provocava. Man mano che si procedeva lo scarno fiotto d'acqua che segnava il percorso di Bardo si ingrossava, dopo alcune centinaia di metri il piccolo solco nel terreno si era trasformato in un vero e proprio fosso profondo più di un metro e largo quasi il doppio e abitato da un esile ruscello di acqua cristallina. Le pareti scavate con precisione nel terriccio lasciavano intravedere qua e là rocce di origine calcarea e piccole oasi di vegetazione, vicino alle radici dei pini che vi sbucavano. 

Dentro al cuore della fitta vegetazione, perso ormai ogni orientamento, si percepiva il peso dell'umidità sul proprio corpo, l'aria densa di microorganismi vibrava negli spazi di luce solare che le foglie lasciavano filtrare. Il fosso stabilizzatosi in quella forma, proseguiva il proprio percorso di piccole curve fra gli alberi e si inoltrava dove l'ombra era più cupa. Il gruppo seguiva il sentiero fermandosi a riempire le ceste di funghi e di legna da ardere, prestando ascolto alla voce di Bardo e ai suoi racconti passati. Superata una stretta curva in salita, si trovarono di fronte una parete verticale nata da una frana della collina, il colore caldo del terreno e l'assenza di vegetazione lasciavano supporre quanto il cedimento fosse recente. Lungo la parete alta una decina di metri si distinguevano le radici di querce larghe quanto braccia umane, si insinuavano nel terreno in caotici disegni lungo tutto l'avvallamento. Si udì quindi un lontano latrare che aumentava d'intensità, provenire dalla cima della parete ed in pochi secondi due Springer Spaniel si affacciarono sullo strapiombo abbaiando in direzione del gruppo, poi si udirono i fischi dei cacciatori dall'altra parte della strada. I cani abbaiavano incessantemente e tutti erano nel panico, finché i due cacciatori non si affacciarono al dirupo con i fucili spianati che subito alzarono al cielo con grandi sospiri e fecero tacere le bestie. L'adrenalina attraversò tutti i componenti di quell'incontro fortuito e si incanalò in Bardo, mentre inveiva nella direzione degli uomini armati, quindi si spense in un baleno.

La processione seguì il percorso invisibile che solo Bardo conosceva, era ormai da due ore che tutti camminavano senza grandi soste, quando giunsero al bunker. Si trattava di una catapecchia di modeste dimensioni, per metà sepolta nel terreno umido e completamente ricoperta da un sottile strato di muschio selvatico. A ridosso del torrente l'avvallamento formava una curva poco vicino al rudere e si inoltrava nel fitto dell'oscurità. Al suo fianco sorgevano una grossa roccia e un albero dal fusto largo, come a sancire con una perfetta geometria di mistero la presenza di quella casa fantasma nel cuore del bosco. Gli occhi di Bardo si illuminarono alla vista del residuato bellico, sollevò il cappello sulla testa e si deterse la fronte, accennò un sorriso stiracchiato e raccontò di un corridoio sepolto che conduceva dal fortino a un altro, a centinaia di metri di distanza e poi a un altro ancora, sino al mare. La prospettiva era unica, tutti gli elementi della natura si erano fermati come a proteggere quel luogo affascinante, avvolgendolo tanto d'incanto quanto di mistero. Un componente del gruppo si fece a tal punto impressionare dall'atmosfera da decidere di saltare il fosso per poter raggiungere e visitare il fortino che si trovava al di là di esso. Il fosso misurava in larghezza circa due metri ed egli individuò subito un punto scosceso, ideale per il salto. Anche se la distanza non sembrava eccessiva in molti provarono a fermarlo, ma lui era come posseduto da quel luogo, non ne voleva sapere, doveva saltare. Il terreno era viscido e scivoloso e non si distingueva cosa ci fosse al di là del letto del fiume, fra i licheni spuntava solo una roccia acuminata. Quando il giovane fece per prendere la rincorsa, il vecchio Bardo seduto in disparte masticava la sua radice di liquirizia e se la rideva sotto i folti baffi bianchi, mentre il resto degli attori, chi più chi meno gesticolava e strillava il saltatore sprovveduto.

Fu un gran bel salto, tutti poterono vedere l'aria fermarsi in torno a quella figura volante mentre attraversava il canale e tutti registrarono l'agilità dell'atterraggio dall'altra parte, una morbida flessione della gamba destra, proprio a pochi cm dalla roccia acuminata che segnava il suo traguardo e altrettanti dal vuoto che era dietro di lui. Completò il movimento portandosi la gamba sinistra in posizione verticale, parallela al busto, pronto quasi a voltarsi ed esultare. Ma il destino o forse la distrazione fecero sì che la gamba destra, prima di raggiungere la sua naturale posizione, entrò in contatto con la roccia sul bordo del fiume. Si conficcò nella carne e quando la estrasse vide il sangue uscire dal buco grande quanto una castagna poco sotto la rotula. Vide tibia e perone danzare nell'aria del bosco, mentre la sua mente andava alle lezioni di anatomia nella vecchia stanza dell'Accademia scaldata da una stufa a legna, agli scheletri d'avorio ingiallito dal tempo, usurati e tenuti insieme da lacci e ganci, agli omeri, tibie e peroni della sua formazione. Quindi svenne sull'erba. 

18.12.10

I trabocchetti del pensiero


Bisogna capire che tutta l'intelligenza 
è solo una ampia eventualità, e che si può perderla, 
non come l'alienato che è morto, ma come un vivo che è nella vita 
e ne sente l'attrazione e il soffio (dell'intelligenza, non della vita). 
Le titillazioni dell'intelligenza e questo brusco rovesciarsi delle parti. 
Le parole a mezza strada dell'intelligenza. 
Questa possibilità di pensare indietro 
e d'inveire improvvisamente contro il proprio pensiero. 
Questo dialogo del pensiero. 
L'assorbimento, la rottura di tutto. 
E improvvisamente questo filo d'acqua su un vulcano, 
l'esile e rallentata caduta dello spirito. 

Ritrovarsi in uno stato d'estrema scossa, rischiarati d'irrealtà, 
con pezzi del mondo reale in un angolo di sé. 

Antonin Artaud, Le Pèse-Nerfs, 1925-1927



9.12.10

Io ti darò di più



Che cos'è l'immagine? Il sostituto di una persona forse? Mi domando se oggi l'occidente stia colonizzando sé stesso mediante l'uso dell'immagine? 
Marc Augé

All'alba del 1839, annuncio ufficiale dell'invenzione della fotografia, la Francia e il mondo intero rimasero allibiti dalle possibilità inimmaginabili di questa nuova tecnica. Che fosse una macchina a realizzare l'immagine non faceva che aumentarne il mistero. Da quel momento in poi chiunque avrebbe potuto rimirarsi in un immagine dettagliata di sé. Ma fu proprio questo - sé - il turbamento, perché la propria immagine costituiva una nuova certezza di esistere, faceva esistere contemporaneamente - fuori dal sé - generando una nuova corporalità, sconvolgente. 
Nel corso della storia ci giungono dei segnali. Guerra di Spagna, 1963, Morte di un soldato repubblicano di Robert Capa: è l'emblema, simbolo dell'istantanea applicata alla morte. Vietnam, 1972, Phan Thi Kim Phuc, di Nick Ut: è la totale disperazione, impotenza che entra definitivamente nell'immaginario collettivo. New York City, 2001, Crollo delle torri: il disastro acquista un carattere inverosimile, ideologico, perché ripreso in tempo reale su tutte le reti del mondo. Attraverso l'obiettivo cio che viene ripreso è percepito mediante una visione irreale, come la televisione ci ha abituato. Al pari della migliore produzione hollywoodiana, agli occhi degli spettatori il disastro perde tutta la sua valenza reale diventando il simbolo - visivo prima, assoluto poi - dell'idea di tragedia.

Una sola fotografia, un'immagine può racchiudere un'epoca come la forza e la testimonianza di un simbolo. Oggi quale immagine del mondo resterà impressa nella memoria collettiva? I giornali e le televisioni possono mostrare qualsiasi cosa? Si tratta di una questione irrisolvibile, non si può rispondere a questa domanda. Ormai da molto tempo in materia di immagini il medium non è altro che medium. Sfugge a ogni controllo. Il consumo di immagini è generale, istantaneo. 

Nulla sfugge oggi. Si è in balia di una trasmissione istantanea di tutti i fatti e di tutti i gesti su qualsiasi canale. Al punto che la cinepresa virtuale è nella testa. L'esistenza oggi è telepresente. La TV e i media sono, da molto tempo, usciti dal loro spazio mediale, per investire dall'interno la vita reale. Siamo indifesi davanti all'estrema realtà di questo mondo, davanti a questa perfezione virtuale. Di fatto siamo al di là di ogni alienazione. Il tempo reale è la prossimità istantanea, ectoplasmica dell'evento e del suo doppio, dell'uomo e della sua azione a distanza. Tutto diventa inespiabile, perché interattivo, tutto viene dato e restituito senza ritardo. A furia di performance tecniche siamo arrivati a un tale grado di realtà e di oggettività da poter addirittura parlare di eccesso di realtà. Poiché siamo al di là. 

La scrittura automatica del mondo è anche il suo delitto perfetto. [...] Dato l'accumularsi delle prove, l'unica ipotesi plausibile è la realtà. Dato l'accumularsi delle prove del contrario, lunica soluzione è l'illusione. 

Jean Baudrillard     

7.12.10

David Byrne non l'avrebbe mai fatto






LIFE IS LONG

David Byrne - vocals
Brian Eno - bass, backing vocals, strings, programming, omnichord piano, guitar
Leo - guitar, upright piano, percussion
Steve Jones - rhythm guitar
Dan Levine, Dave Mann, Barry Danielian, Paul Shapiro - brass
Brass arrangement by Dan Levine

© Opal Music, London (PRS)
© Moldy Fig Music, Inc (BMI)
© Poste Mobile, Gruppo Poste Italiane

6.12.10

Senso altro (Superammucchiata n°2)


Questo desiderio non può essere esaudito. E se lo fosse, alla lunga non darebbe appagamento. Ogni volta che in vita mia mi sono illuso di essere arrivato, in vetta, al centro, là, legato a questo c'era il fatto che là non potevo restare. Io posso solo fermarmi, per poco tempo, e poi devo proseguire, fino a quando potrò forse esserci di nuovo, là, da qualche parte per poco tempo. Esserci, esistere, per me è successo sempre e soltanto per poco tempo, mai per tanto. La pienezza, anche questa qui, non è che un rifugio in cui restare. Di tutti i luoghi, sono stati proprio i luoghi della pienezza quelli che con l'andare del tempo mi hanno fatto più male, e che per me sono diventati inquietanti. Mai abituarsi a restare! Stando sul posto, da qualsiasi parte sia, l'appagamento non ha durata. Perde il suo incanto, in un baleno, e lo perde anche il luogo. Il posto non è questo, qui non ci siamo. Su, andiamocene. Avanti. Via di qui. È ora. 

Peter Handke

5.12.10

Righine colorate di spessori diversi 2


my god

you know that little girl
who used to play
on the lawn across the street?

look what happened
overnight: 

new breasts
round ass
long legs
long hair

eyes of
blue fire.

we can no longer
think of her
as before. 

now she is
15 years full of
trouble.

Charles Bukowski





2.12.10

La realtà sostanzialmente inclassificabile









Gli uomini si uccidono ancora tra loro, non hanno ancora capito come vivono e perché vivono; i politici non riescono a vedere che la terra è un'entità, eppure è stata inventata la televisione: il - Lungi Vivente - domani riusciremo a guardare nel cuore dei nostri simili, a essere dappertutto e a essere tuttavia soli; si stampano libri illustrati, giornali, riviste... a milioni. La non ambiguità del reale, la verità insita nella situazione quotidiana viene offerta a tutte le classi. Sta lentamente affiorando l'igiene dell'ottico, la salute del visibile. 

Laszló Moholy-Nagy 
(1925)


È difficile dire a quale punto tu smetti e comincia la macchina. 

Una Minolta SLR 35 mm ti permette di cogliere 
quasi senza sforzo il mondo che ti circonda. 
O di esprimere il mondo che hai dentro. 
In mano ti dà un senso di conforto. 
Le tue dita si sistemano spontaneamente. 
Funziona tutto talmente bene che la macchina diventa parte di te. 
Non devi mai togliere l'occhio dal mirino per regolarlo. 
Puoi insomma concentrarti sulla creazione della fotografia...
E con una Minolta sei libero di esplorare i limiti della tua immaginazione. 
Più di quaranta obiettivi nei favolosi sistemi Rokkor-X e Minolta/celtic
ti permettono di colmare le distanze o di cogliere un panorama spettacoloso...

MINOLTA

quando tu sei la macchina e la macchina è te

Inserzione pubblicitaria (1976)